L’addio

Tutti siamo destinati ad andarcene. La precarietà della vita è un concetto sul quale i grandi della letteratura, del cinema e della musica, hanno sempre pensato con grande insistenza. La morte non è un concetto facile da spiegare, probabilmente perché chi lo spiega non ne è mai stato il protagonista, bensì lo spettatore. Ma in fondo, se ci si pensa bene, non si deve necessariamente essere protagonisti per provare a definire la conclusione che accomuna tutti i membri del genere umano. Le onoranze funebri a Roma, rappresentate da Cattolica San Lorenzo, tentano di rendere un concetto così difficile da affrontare, per chi ci si approccia in funzione di un parente o un amico venuto a mancare, più leggero e il più possibile rappresentativo per il defunto. Chiamare un’impresa funebre è oggi il modo più semplice di dire addio a qualcuno, ma, in passato, per alcuni grandi personaggi, il saluto veniva fatto prima che dai cari parenti, dai defunti stessi, attraverso una lettera.

Virgina Woolf al marito

La grande scrittrice inglese, ha deciso di togliersi la vita riempiendo le proprie tasche piene di sassi e gettandosi all’interno di un fiume. Nonostante la sua profonda depressione decise di salutare il marito amato attraverso la sua più grande abilità: la scrittura. La lettera di Virginia Woolf è toccante e rappresentativa dello stato mentale della sua autrice. La scrittrice, all’interno della lettera, si rivolge direttamente al marito, definendolo come l’unico  possibile salvatore della sua malattia. Però, la convinzione di Virginia a credere che lei fosse un impedimento per far si che il suo uomo proseguisse la sua vita nel migliore dei modi, ha avuto la meglio e l’ha condotta a realizzare questa lettera, in cui la malattia figura come il male separatore della loro unione. Lo scoppiare della guerra e la crisi all’interno del suo paese non furono d’aiuto allo stato d’animo di questa scrittrice, la quale, attraverso i suoi romanzi, ha saputo lasciarci personaggi femminili in grado di rappresentarla e di dare voce alle donne all’interno della letteratura.

Pavese a Einaudi

Un esempio d’addio in cui il movente della scrittura non è stata la morte, lo ritroviamo in Cesare Pavese, il quale ha realizzato un vero e proprio manifesto per tutti coloro che non vengono rispettati per il lavoro svolto. Lui lavorò come free-lance per l’editore Giulio Einaudi, a cui si rivolse nella sua stesura con un tono cortese ma allo stesso tempo provocatorio. Pavese sollecitò l’editore, puntualizzando che non potesse essere pagato con numero 6 di sigari per il suo servizio e che non poteva continuare a pensare che i suoi dipendenti rendessero senza un giusto e meritato compenso.

Un modo di “licenziarsi” davvero innovativo, che sicuramente ha saputo dare l’idea del rispetto che si deve portare a qualcuno affinché non vada via dal proprio scenario.